Il carcinoma ovarico rappresenta circa il 3% dei tumori ginecologici femminili. A fronte di un’incidenza relativamente bassa questo tipo di cancro si accompagna spesso a una prognosi infausta, poiché nel 75-80% dei casi la sua diagnosi avviene in fase avanzata. A oggi il trattamento del carcinoma ovarico prevede, nella maggior parte dei casi, un approccio chirurgico e chemioterapico.
Dati epidemiologici
Circa l’80-90% dei tumori ovarici si manifesta in donne di età compresa fra 20 e 65 anni e meno del 5% in età pediatrica. Nell’80% dei casi si tratta di tumori benigni: di questi, il 60% è diagnosticato in donne in età inferiore a 40 anni.
Il 15-20% dei tumori ovarici è maligno, e di questi il 90% è diagnosticato in donne di età superiore ai 40 anni. Infine, il 5-10% dei tumori ovarici è definito a malignità intermedia (borderline). A differenza dei tumori maligni che si osservano prevalentemente in età avanzata, i tumori borderline sono più comuni in donne di età compresa tra i 40-50 anni.
L’incidenza delle neoplasie maligne ovariche presenta una distribuzione geografica, con tassi più elevati nei paesi sviluppati come Europa (10.1/100.000) e Nord America (8.7/100.000) rispetto ai paesi africani (4.0/100.000) e al sud-est asiatico (6.2/100.000).
Nel 2020 in Italia sono registrate circa 5200 nuove diagnosi di cancro dell’ovaio. Entro il 2030 la stima è di 5756 nuovi casi.
Fattori di rischio ed eziologia
Sono stati individuati diversi fattori – ambientali ed endogeni – di rischio legati allo sviluppo del carcinoma ovarico. Tra i fattori ambientali è stata descritta un’associazione con l’esposizione di asbesto e talco, con l’abuso di alcol, fumo, obesità e una dieta ricca di grassi. Tra i fattori endogeni, quelli di natura endocrina svolgono un ruolo nell’incidenza del carcinoma ovarico, come ad esempio nulliparità, infertilità, gravidanza ritardata, età, menarca precoce, menopausa ritardata, terapia ormonale sostitutiva a base di estrogeni, pregresso tumore mammario, endometriale o colico.
Non per ultimo un’anamnesi di tumore ovarico in un familiare di primo grado aumenta il rischio d’incidenza di questa neoplasia. A tal riguardo, studi di popolazione hanno evidenziato che le pazienti affette da carcinoma ovarico presentano quali fattori di rischio principale la trasmissione ereditaria di varianti patogenetiche costituzionali dei geni BRCA1 e BRCA2 (BRCA, Breast-ovarian cancer syndrome), la cui mutazione predispone a una maggiore probabilità di sviluppare tumori ovarici, ma anche mammari e più in generale altre neoplasie.
Sintomatologia
Il carcinoma ovarico rappresenta ancora oggi uno dei “big killers” tra le neoplasie. La prognosi spesso severa associata a questo tumore è attribuibile a diversi fattori, tra cui il fatto che in stadio precoce, il carcinoma ovarico è spesso asintomatico. Inoltre, nella maggior parte delle donne con tumore ovarico, la neoplasia si presenta con una sintomatologia aspecifica come ad esempio la dispepsia, senso di tensione addominale, sensazione precoce di sazietà, dolore da ritenzione di gas, lombalgia e così via. Solo in seguito, quando il carcinoma ovarico è in stadio avanzato, i sintomi diventano più dettagliati e si manifestano tipicamente con dolore pelvico, anemia, cachessia e gonfiore addominale causato dall’aumento di volume dell’ovaio o alla formazione di liquido ascitico.
Screening
L’assenza di strategie di screening validate che consentano di eseguire una diagnosi precoce della malattia (fatta eccezione per le donne con mutazioni in BRCA1 e BRCA2) rappresenta spesso uno dei motivi di fallimento nel trattamento del carcinoma ovarico, la cui diagnosi è formulata il più delle volte occasionalmente, durante i routinari controlli ginecologici.
In assenza di un’efficace strategia di screening, le procedure diagnostiche generalmente adottate per il carcinoma ovarico si basano sull’esame clinico, esecuzione di esame strumentale della zona pelvica mediante ecografia transvaginale e, nei casi con lesioni sospette, sulla determinazione dei livelli ematici del marcatore CA125. Tuttavia, è noto quanto sia limitato il valore predittivo di questi strumenti d’indagini: basti pensare ad esempio che il valore predittivo positivo del CA125 è di circa il 10% e diventa 20% quando di associa alla valutazione ecografica dell’area pelvica.
Uno studio recente ha dimostrato che il dosaggio combinato di sei bio-markers, come la leptina, la prolattina, l’osteopontina, l’IGF-II, il MIF e il CA125, abbia una sensibilità del 95.3% ed una specificità pari al 99.4% per il carcinoma ovarico, decisamente superiore alla sensibilità del CA125 considerato singolarmente. Lo studio suggerisce il dosaggio di questo panel di antigeni (OVALiFE test) nello screening delle pazienti ad alto rischio per questa neoplasia, come i soggetti con storia familiare positiva per carcinoma ovarico o per carcinoma mammario, soprattutto al di sotto di 50 anni, le donne portatrici di mutazioni dei geni BRCA1 o BRCA2 o appartenenti a famiglie con sindrome di Lynch 2.
Nuove tecniche diagnostiche, come la spettroscopia di massa, hanno permesso di individuare il pattern proteomico nel siero che discrimina la patologia ovarica neoplastica da quella benigna, in modo riproducibile e sensibile.
La completa validazione di tali procedure, unitamente alle classiche indagini di screening, potrà, in un futuro speranzosamente non lontano, consentire di formulare diagnosi in fasi più precoci con migliori risultati in termini terapeutici e prognostici.
Istopatologia
Le neoplasie ovariche rappresentano un gruppo eterogeneo di tumori con differenti aspetti clinico-patologici e biologici. La diagnosi istopatologica dei tumori ovarici richiede un’esame macroscopico accurato e un campionamento ottimale.
Schematicamente le neoplasie ovariche primitive si suddividono, secondo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (WHO), in tre grandi gruppi.
- Tumori dell’epitelio superficiale (con i loro sottotipi istologici)
- Tumori a cellule germinali
- Tumori stromali dei cordoni sessuali
Carcinoma ovarico: trattamento Chirurgico
L’approccio chirurgico iniziale riveste un ruolo fondamentale in caso di neoplasia ovarica sospetta, sia ai fini diagnostici – permettendo l’accertamento istopatologico nella natura della massa – sia ai fini terapeutici, consentendo alla rimozione, alla valutazione dell’estensione anatomica della malattia e alla stadiazione.
L’obiettivo della chirurgia negli stadi iniziali è quello di ottenere la massima cito-riduzione nella massa tumorale e di valutare eventuali localizzazioni occulte nell’addome e nel retro-peritoneo. La disponibilità dell’esame istologico estemporaneo può consentire di completare la valutazione e stadiazione chirurgica.
Nei casi di tumore ovarico avanzato può capitare che l’ablazione chirurgica della massa neoplastica non sia ottimale al primo intervento. In questi casi è possibile ricorrere alla chemioterapia neoadiuvante (NACT) con medicinali a base di platino che ha l’obiettivo di ridurre la massa neoplastica e predisporre la paziente a un successivo intervento chirurgico di resezione (chirurgia d’intervallo). La chirurgia d’intervallo dovrebbe essere presa in considerazione nelle pazienti con malattia responsiva alla chemioterapia e in grado di tollerare un secondo intervento in cui sia possibile il raggiungimento della rimozione nella massa neoplastica.
Chemioterapia per carcinoma ovarico
Il carcinoma ovarico è una malattia chemio-sensibile. In generale, la somministrazione della chemioterapia di prima linea – da adottare non più tardi delle 8 settimane dall’intervento – migliora la prognosi delle pazienti con malattia avanzata.
Lo standard di trattamento chemioterapico del carcinoma ovarico allo stadio iniziale prevede l’utilizzo di carboplatino e paclitaxel.
I farmaci a base di platino (cisplatino e carboplatino) sono ugualmente efficaci nel trattamento del carcinoma ovarico avanzato. Il carboplatino ha un profilo di tossicità più favorevole ed è più facile da somministrare rispetto al cisplatino. La combinazione di carboplatino e paclitaxel è ugualmente efficace rispetto al cisplatino e paclitaxel in combinazione.
Un’altra strategia emersa al fine di migliorare i risultati di efficacia è la chemioterapia intra-peritoneale. Questo approccio offre la possibilità di un’esposizione a dosi elevate di chemioterapici direttamente nel peritoneo, minimizzando gli effetti di tossicità sistemica. Sono almeno tre gli studi randomizzati in cui si è dimostrato il vantaggio dell’uso del cisplatino intraperitoneale rispetto alla terapia sistemica in termini di sopravvivenza globale e riduzione del rischio di progressione.
Gli sforzi scientifici degli ultimi anni si sono focalizzati nell’individuazione di nuovi agenti biologici, che in affiancamento alla chemioterapia tradizionale, siano in grado di migliorare la prognosi del carcinoma ovarico. Ciò è stato possibile grazie alle conoscenze più approfondite sulla biologia cellulare e molecolare del carcinoma ovarico, consentendo all’identificazione di target di segnalazione come alcuni recettori di fattori di crescita, molecole trasduttrici del segnale, cellule regolatrici il ciclo cellulare e fattori angiogenici.
Uno dei farmaci di nuova generazione più promettenti nel trattamento del carcinoma ovarico è il bevacizumab, un anticorpo monoclonale che interferisce con l’angiogenesi, ossia con il processo di formazione di nuovi vasi sanguigni.
I risultati dello studio di fase 3 MITO-MANGO (MITO16B-MaNGO OV2B-ENGOT OV17), un trial multicentrico internazionale presentato al congresso dell’American Society of Clinical Oncology, a Chicago dimostrano che nelle donne con carcinoma ovarico recidivato già trattate in prima linea con bevacizumab, una nuova somministrazione del farmaco in combinazione con la chemioterapia, prolunga in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione, dimezzando il rischio di progressione o decesso, senza provocare tossicità inattese. Bevacizumab è stato approvato per il trattamento del carcinoma ovarico ricorrente in pazienti non trattate in precedenza con il farmaco.
Oltre ai farmaci anti-angiogenici quali il bevacizumab, i PARP-inibitori (l’acronimo deriva da poli-ADP ribosio polimerasi) rappresentano l’altra categoria di molecole efficaci nel trattamento del carcinoma ovarico dopo la chirurgia. Il meccanismo d’azione dei PARP-inibitori consiste nell’annullamento dei processi di riparazione del DNA nelle cellule neoplastiche dell’ovaio, con la conseguente morte delle cellule malate. Ciò spiega la particolare efficacia dei PARP-inibitori nelle pazienti con mutazione BRCA1 e BRCA2, ossia recanti “deficit” genetici che alterano i meccanismi di riparazione dei danni al DNA.
Nella pratica clinica la somministrazione dei PARP-inibitori avviene mediante assunzione orale di compresse (olaparib, niraparib e rucaparib).
La radioterapia non viene quasi mai impiegata nella terapia del carcinoma ovarico se non a scopo palliativo per alcune sedi metastatiche.
Carcinoma ovarico: prevenzione
Al momento, non esistono programmi di screening scientificamente affidabili per la diagnosi precoce del tumore dell’ovaio.
Ciononostante alcuni studi hanno dimostrato che una visita annuale dal ginecologo che esegue la palpazione bimanuale dell’ovaio e l’ecografia transvaginale di controllo possono facilitare una diagnosi precoce.
Programmi di screening sulla popolazione sana basati sulla presenza nel sangue del marcatore CA-125 non risultano attendibili: il marcatore è infatti poco specifico e i suoi livelli possono variare per molte cause anche in assenza di un tumore. Questo marcatore è invece molto utile per monitorare l’eventuale ripresa della malattia in persone già curate per un tumore ovarico.
Nel caso specifico di donne con mutazione ereditaria nei geni BRCA1 e/o BRCA2, è importante sottoporsi a una consulenza di follow-up per discutere le opzioni per ridurre il rischio di sviluppare un tumore ovarico (o della mammella, un altro tumore associato a mutazione in questi geni). Tra le possibilità di prevenzione rientra, in questi casi, anche l’asportazione chirurgica delle ovaie e delle tube di Falloppio dopo i 40 anni di età.
Fonti:
- Ray-Coquard I, Pautier P, Pignata S, et al. Olaparib plus bevacizumab as first-line maintenance in ovarian cancer
- Ledermann J, Harter P, Gourley C, et al. Olaparib maintenance therapy in platinum-sensitive relapsed ovarian cancer
- Pujade-Lauraine E, Ledermann JA, Selle F, et al. Olaparib tablets as maintenance therapy in patients with platinum-sensitive, relapsed ovarian cancer and a BRCA1/2 mutation
- Pignata, et al. Chemotherapy plus or minus bevacizumab for platinum-sensitive ovarian cancer patients recurring after a bevacizumab containing first line treatment